A cura di Carlo Cefaloni, Città Nuova
Intervista al deputato di Fratelli D’Italia Lorenzo Malagola, già segretario generale della Fondazione De Gasperi, sulla prospettiva di un nuovo bipolarismo in Italia fondato sul confronto tra progressisti e conservatori. Alcune valutazioni in tema di ambiente e guerra.
Giorgia Meloni è riuscita a fare in Italia ciò che finora è stato impossibile per Marina Le Pen in Francia, e cioè portare la destra a governo del Paese con il ruolo determinante di Fratelli D’Italia (FDI). Il partito ha radici antiche, come dimostra il simbolo storico del Movimento Sociale Italiano che è rimasto nell’insegna della formazione politica, ma è stato fondato solo nel 2012 dalla stessa Meloni, assieme a Ignazio La Russa (missino doc) e Guido Crosetto, che proviene da un’iniziale militanza nella Dc approdata poi, in un primo momento, nella berlusconiana Forza Italia.
FDI ha dimostrato in poco tempo una forte capacità attrattiva passando, nel contesto generale segnato da un crescente astensionismo, dal 2% delle elezioni politiche del 2013 al 26% di quelle del settembre 2022 che hanno portato Giorgia Meloni a Palazzo Chigi, La Russa a ricoprire la seconda carica dello stato ( presidenza del Senato), mentre Crosetto è passato direttamente dal vertice dell’associazione delle industrie della difesa alla titolarità del sempre più strategico Ministero della Difesa.
Esponenti di primo piano di Forza Italia come l’economista Tremonti, ex ministro e attualmente presidente del trasversale think tank dell’Aspen Institute, e il filosofo Marcello Pera sono stati eletti nelle fila di Fratelli D’Italia così come Lorenzo Malagola, classe 1982, manager di una multinazionale e già consigliere comunale di centrodestra a Milano, figura di primo piano della Fondazione De Gasperi ( istituto fondato da una figlia – Maria Romana- dello statista Dc e ora presieduta da Angelino Alfano, ex ministro, attualmente ai vertici del gruppo ospedaliero privato San Donato).
Proprio la figura di Malagola rivela una novità significativa perché non è legata a calcoli e strategie elettorali di breve respiro, ma esprime una visione di una nuova prospettiva che vuole imporsi nello scenario politico italiano secondo categorie che non sono più quelle della destra o della sinistra ma del progressismo e del conservatorismo.
«Un conservatorismo latino che – come precisa Malagola- ha una base cattolica, per tradizione e per aspirazione universale» ma che mantiene un tratto anglosassone come emerge in particolare nel bel sito web del deputato di FDI, che mette assieme Alcide De Gasperi con Winston Churchill, Vaclav Havel (dissidente dell’era sovietica e poi presidente della Cechia), Giovanni Paolo II, il filosofo Augusto Del Noce e il grande scrittore Gilbert K. Chesterton.
Se il progressismo, messi da parte la rivoluzione e la questione sociale, è evidentemente l’ideologia tipica di un’ex sinistra divenuta pragmatica ma molto attenta ai nuovi diritti civili individuali, è più difficile capire cosa vuol dire essere conservatori nel 2023.
Ne abbiamo parlato quindi con il deputato Lorenzo Malagola che, già in fase elettorale in un dibattito promosso da Leonardo Becchetti, ha mostrato di essere molto addentro alle tematiche della società civile espressa dall’economista di Roma Tor Vergata.
La sua presenza tra le fila di FDI dimostra una grande novità per un partito identificato, di solito, con l’eredità della destra postfascista. Come è maturata la sua scelta?
Mi ha convinto la proposta della Meloni di costruire un partito dei conservatori italiani come nuova sintesi politico-culturale tra l’area della destra tradizionale, quella della tradizione liberale e il cattolicesimo popolare. Giorgia Meloni ha accettato la sfida di portarci nella Terza Repubblica, assumendo la traiettoria delineata da Silvio Berlusconi, provando ad aggiornarla ma restando fedele a quell’eredità politica.
È nota nella storia l’opposizione di De Gasperi alla cosiddetta “operazione Sturzo” di alleanza nel 1952 tra Dc e Msi in funzione anticomunista. Si può dire che siamo davanti ad una riedizione di quella formula?
Il paragone mi sembra eccessivo. Si tratta di due epoche molto differenti: noi stiamo lavorando alla costruzione di un’identità politica che in Italia non è mai esistita dal punto di vista partitico. Il partito conservatore rappresenta il possibile itinerario del centro-destra, definito a specchio, dalla contrapposizione al progressismo. Ormai la sinistra in Italia non è più comunista, post-comunista o socialista, perché ha assunto le categorie anglosassoni dell’ideologia progressista.
Se la sinistra prevalentemente è diventata, come aveva prefigurato Del Noce, un partito radicale di massa (?) che ha assunto una visione individualista libertaria, in che modo si contraddistingue il polo conservatore? Vi riconoscete ad esempio nella politica del leader ungherese Orban come fa Francesco Giubilei di Destra Futura? (sempre area FDI,ndr)
No. Fidesz, la forza nazionalista del premier ungherese Viktor Orbán, si colloca in un’area estrema del panorama politico europeo, mentre i conservatori fanno parte della costruzione della logica comunitaria europea. A noi interessa intensificare i rapporti con il partito popolare europeo per spezzare l’asse con i socialisti che finora ha guidato l’UE. Guardiamo verso il centro, non verso la destra estrema.
Perché allora non confluire nel partito popolare incidendo sui suoi contenuti?
Non la vedo una possibilità attuale adesso, mentre è importante concentrare gli sforzi per consolidare una grande forza conservatrice in Europa.
Declinando questa visione, da parte vostra è evidente la contrarietà alla politica ambientalista della transizione ecologica condotta finora in Europa dai socialisti e democratici con Frans Timmermans. Perché?
Perché siamo portatori di una visione antropologica positiva, dei diritti della persona che precedono lo Stato e il mercato, mentre la prospettiva progressista dà prevalenza alle politiche statali e pone la natura come nuovo idolo pagano.
Eppure, il mondo dei movimenti ambientalisti è anzi molto vicino e apprezza la visione ecologica di papa Francesco, che pone sempre la persona al centro, mentre fonti del pensiero tradizionalista (ad esempio la Nuova Bussola quotidiana) sono molto duri e critici contro il papa…
Noi, invece, ci ritroviamo e riconosciamo pienamente nell’ecologia integrale del papa, nella consistenza dottrinale di Francesco che illumina e guida, in questo cambiamento d’epoca che stiamo vivendo, l’agire dei cattolici in politica.
Per andare su un caso concreto, il governo Meloni dimostra di puntare strategicamente verso l’energia nucleare di quarta generazione in attesa degli sviluppi sulla fusione. Cosa ne pensa in merito?
Siamo favorevoli alla sovranità energetica, osservando il vantaggio competitivo che hanno nazioni come gli Usa e la Francia. L’opzione nucleare va vista con interesse, tenendo conto dei grandi passi avanti delle nuove tecnologie in termini di sicurezza e di rispetto dell’ambiente.
Eppure, come anche da intervista rilasciata a Città Nuova, il vicepresidente della Camera Rampelli, ha espresso una posizione contraria al nucleare siglando un patto con il verde Bonelli. L’economista Becchetti afferma che investire sul nucleare toglie risorse allo sviluppo delle fonti rinnovabili. Esiste un dibattito in FDI su questo tema?
Non mi pare che tale dibattito interno sia all’ordine del giorno, mentre l’indirizzo dell’esecutivo va verso una logica di politica energetica improntata prudentemente alla diversificazione, dato che non è possibile coprire il fabbisogno energetico solo con le fonti alternative. Comunque non possiamo restare indietro nello sviluppo delle tecnologie nucleari di fronte ad altri competitor internazionali.
A proposito delle forniture di gas, Draghi ha invitato, a suo tempo, a ridurne l’importazione dalla Russia come strumento sanzionatorio verso Putin dopo l’invasione dell’Ucraina. Non dovremmo ora fare altrettanto verso l’Azerbaijan che, con il sostegno di Erdogan, sta conculcando i diritti degli armeni costretti a fuggire dal Nagorno Karabakh per il timore di una nuova pulizia etnica a 100 anni dal genocidio turco della popolazione armena?
Faccio parte della Sezione Bilaterale di amicizia tra Italia ed Armenia, all’interno dell’Unione interparlamentare, dunque conosco bene il problema. Credo che proprio perché siamo clienti importanti degli azeri per le forniture di gas dobbiamo far pesare questa nostra relazione commerciale per chiedere loro di rispettare i diritti degli armeni. Non siamo costretti a stare in silenzio.
Ma il silenzio non ha,tante volte, imposto dalla necessità di non turbare gli affari?
Nutro dubbi sull’efficacia dell’interruzione unilaterale di acquisto del gas azero, mentre la relazione commerciale può essere uno strumento per esercitare un’azione diplomatica a favore degli armeni. L’Italia deve agire in tal senso.
Agli azeri l’Italia vende anche sistemi d’arma e l’Azerbaijan è noto per l’uso di armi micidiali come i droni kamikaze usati proprio contro l’esercito armeno nel 2020. Il papa non si stanca di denunciare la produzione e il commercio di armi destinate alla terza guerra mondiale a pezzi. Che posizione avete su questo punto?
Abbiamo un’industria degli armamenti controllata dallo Stato e quindi ritengo necessario che essa si muova in linea coerente con la politica estera del governo italiano, evitando perciò determinati rapporti di fornitura.
Quindi ritiene necessario suscitare almeno un dibattito sulle forniture di armi, per esempio, ad un Paese controverso come l’Arabia Saudita?
Certo, ritengo sia opportuno.
E di fronte alla tragedia che colpisce la Terra Santa, non ritiene venuto il tempo di chiedere, da parte italiana, il cessate il fuoco per impedire l’escalation e l’aumento di vittime innocenti tra la popolazione civile di Gaza?
Credo che, dopo la strage di Hamas del 7 ottobre, dobbiamo esprimere, innanzitutto, la nostra solidarietà a Israele che è un baluardo di democrazia e libertà in quel quadrante di mondo. Il popolo ebraico rappresenta da sempre un punto di contraddizione nella storia: sono, come diceva Giovanni Paolo II, i nostri fratelli maggiori nella fede. Tutto ciò appurato, occorre dire che il popolo palestinese ha diritto di vivere in condizioni di assoluta dignità. E quindi speriamo che presto possa tornare la pace come auspicato dal cardinale Pizzaballa nella lettera alla sua diocesi di Gerusalemme, nella quale augura la presenza e la convivenza pacifica dei due popoli in due stati.