Altro che fughe in avanti: con Tunisia e Albania il governo Meloni ha preso l’iniziativa nel quadrante mediterraneo aprendo nuove strade su cui portare tutta l’Unione Europea.
In politica si parla anche con i silenzi. Senza esagerare, però. Questa potrebbe essere in sintesi l’impressione che l’opinione pubblica ha dell’Unione Europea in politica estera: una profonda debolezza. In un mondo ormai multipolare, l’Europa rimane al margine e non pesa a livello geopolitico tanto quanto conta a livello economico. Il sogno dei padri fondatori di esprimere una politica estera comune è rimasto a lungo un’idea. Doveva essere il passo conseguente alla Comunità europea di difesa per consolidare un’effettiva unione politica. Parlare a una sola voce sarebbe stato l’argine al ritorno di guerre globali. Purtroppo, la Ced è tramontata nel 1954 e abbiamo dovuto attendere fino al 2009 per avere una prima forma di politica estera europea con la costituzione dell’Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza e del Servizio europeo per l’azione esterna da esso dipendente. Ucraina, Nagorno-Karabakh, Gaza rappresentano gli ultimi casi nei quali l’Unione Europea è rimasta spettatrice delle dinamiche belliche, diplomatiche e economiche. L’“arsenale” europeo non è ricco come quello di altre super-potenze mondiali, ma le sanzioni, i sostegni militari esterni, la diplomazia commerciale sono spesso utilizzati in modo timido.
Incertezze su Armenia, Ucraina, Gaza
Prendiamo la crisi del Nagorno-Karabakh. L’Unione aveva saputo ritagliarsi un ruolo attivo nei negoziati tra Armenia e Azerbaigian. Da un lato, Charles Michel, il presidente del Consiglio europeo, a luglio aveva mediato tra il presidente azero Ilham Aliyev e quello armeno Nikol Pashinyan. Dall’altro, con la firma nel 2022 di un Memorandum of Understanding l’Unione ha costruito un partenariato strategico in campo energetico con Baku. Come da tradizione mediterranea, i legami commerciali possono dare peso ai negoziati per portare le parti non alla guerra ma ai tavoli di pace. Eppure, l’incertezza degli obiettivi e della forza europea ha bloccato l’intermediazione.
Guardiamo alla crisi ucraina. Nel Consiglio europeo di fine ottobre, il fronte compatto del sostegno a Kiev per tutto il tempo necessario ha scricchiolato. Ungheria, Slovacchia e Bulgaria hanno iniziato a porre la domanda: quale tipo di aiuti mandare ancora all’Ucraina e come l’Unione Europea si assicurerà che questi aiuti vengano utilizzati in modo efficiente?
Oppure, chiediamoci quale posizione abbia l’Unione Europea su Gaza. A parole ricalca quella americana. Sì alle “pause umanitarie”, ma nessun cessate il fuoco. Il rilascio degli ostaggi è la precondizione, non la conseguenza di un eventuale cessate il fuoco. Eppure, Spagna e Belgio avevano sostenuto una pausa unica e non definita nel tempo.
Incertezza, strategie nazionali, piccoli passi sembrano paralizzare la politica estera europea. Gli Stati del Vecchio Continente si muovono alla spicciolata, con fughe in avanti come spesso fatto dalla Francia o strategie nazionali che hanno prevaricato quelle comunitarie come nel caso della Germania. Oggi anche il governo Meloni sta provando a percorrere la propria strada. Il futuro di una nazione dipende dalla sua politica estera. Il posizionamento dell’Italia sullo scacchiere globale ne determinerà la capacità di crescita sociale ed economica.
Canali di dialogo
Va letta quindi con attenzione la doppia operazione condotta in Tunisia e Albania. L’Italia ha come principale emergenza la gestione dei flussi migratori provenienti dall’Africa. Una questione annosa, fuori controllo fin dalla caduta di Gheddafi. In Tunisia, Meloni ha aperto un canale di dialogo con il presidente Saied e ha portato Ursula von der Leyen a ingaggiarsi nelle sorti tunisine alle quali sono legate le nostre. Una mossa che ha costretto l’Europa a seguire la via aperta dall’Italia.
Parimenti, in Albania il governo italiano ha fatto leva su relazioni diplomatiche costruite personalmente da Meloni con il presidente Edi Rama. L’accordo con l’Albania rappresenta una prima sperimentazione per perseguire una politica di accoglienza ordinata e legale di quanti desiderano fare ingresso in Italia. Si tratta, inoltre, di un programma di cooperazione internazionale che potrà aiutare l’Albania a entrare a far parte dell’Unione Europea.
Alcuni considerano questi tentativi italiani alla pari delle fughe in avanti di altre nazioni. Potremmo però considerare queste azioni come un modo nuovo di prendere l’iniziativa nel quadrante mediterraneo non per isolare interessi solamente nazionali, ma per costruire strade nuove su cui portare tutta l’Unione Europea. Dal silenzio si esce con mosse felpate ma lungimiranti.
Articolo pubblicato sulla rivista Tempi di Dicembre 2023